Destino e Passione. Gli allevatori Olivero per la cura della Razza Piemontese

È il 1953. Ci sono tre giovani, hanno poco più di trent’anni. Sono in una vigna, in quel di San Vittore. Stan lì tirà l’busche, che, dal piemontese significa giocare alla sorte, con i rami di una vite. Si tratta di un gioco scommessa. A perdere è chi ha il ramo più lungo in mano. Chi lo avesse, sarebbe stato costretto a trasferirsi a Genola, in Via Vernetto, in una nuova cascina. È toccato a Giovanni.

Così il caso ha cambiato per sempre la storia di Giovanni e quella della famiglia Olivero che, ancora oggi, alleva le Piemontesi in quella cascina di Via Vernetto.


“Siamo allevatori da sempre. Nel 1917 mio nonno ha acquistato una cascina ad Apparizione, a Savigliano, nel 1929 ci siamo spostati a San Vittore di Fossano. Nel 1953, io avevo tre anni, mio padre ha comandato l’ultimo trasferimento a Genola. Con noi abbiamo sempre portato la passione per l’allevamento e la zootecnia oltre alle nostre Piemontesi. Il passaggio da San Vittore a Genola è stato, però, drastico. Quanto dolore in quei mesi, lontani dalla famiglia e da ciò che fino ad allora era stato. Ricordo le lacrime, nascosto in stalla tra le Piemontesi. In quell’anno se ne contavano dieci”, racconta Francesco Olivero.

Dieci anni dopo, nel 1964, le Piemontesi sono 35 e le giornate di terra da coltivare più di 30. Nel corso degli anni, i capi, così come i campi da curare, hanno continuato a crescere . “Nel 1976, la stalla si amplia con la creazione del portico. Una data non a caso”, dice Francesco. “L’investimento è stato fatto in occasione del mio matrimonio”.


Nel 1977 la nascita di Mauro Olivero, primogenito di Francesco, oggi alla guida dell’azienda. A quei tempi, le Piemontesi, in cascina Olivero, erano circa 80.

La zootecnia, per Mauro, non è stata amore a prima vista ma il frutto di un percorso che l’ha ricondotto alle sue radici. “Sono figlio della terra, da generazioni la mia famiglia possiede un’azienda agricola, ma sono state altre esperienze lavorative a ricondurmi alla terra. Il distacco ha infatti fortificato un legame che oggi posso considerare inscindibile”, spiega Mauro che dopo il diploma, ha lavorato prima alla Coldiretti e poi in un’azienda vivaistica. “Nella seconda”, racconta Mauro”, sono venuto a contatto con aziende giovani e mi sono interrogato sul futuro dell’azienda di famiglia”.

Era il 1999 e, un anno dopo, Mauro chiede già al padre di essere parte dell’azienda. Desiderio, però, che si concretizza nel 2001. “Con il mio avvento in azienda, abbiamo smesso di mungere le Piemontesi, non era conveniente con i nostri numeri così come non sono più stati venduti i vitellini. Ho deciso quindi di investire tutte le mie energie nella Piemontese da carne, seguendo l’intera filiera. Non sempre è stato facile, spesso mi sono scontrato con mio papà ma ero convinto del potenziale della Razza Piemontese”, prosegue Mauro.


A settembre 2004, al Salone del Gusto, l’incontro che ha cambiato la storia degli Olivero. Mauro incontra Sergio Capaldo, già veterinario dell’azienda.

Abbiamo bisogno di te. Devi unirti a La Granda. Queste le parole di Capaldo che Mauro ricorda ancora così chiaramente.

“Sulla strada del ritorno non ho fatto altro che pensare a quelle frasi”, ricorda Mauro che il 18 novembre dello stesso anno faceva già parte de La Granda. Complice in questa scelta anche Bruno Cavallero, zio di Mauro e tra i fondatori de La Granda.

“Non volevo un mercato di massa. Capaldo ha avuto la mia fiducia e, grazie a lui, ho concretizzato la mia idea di agricoltura e benessere animale”, racconta Mauro.


La Granda” conclude Mauro” è la mia seconda casa. Sono contento che la mia azienda, che oggi conta 230 capi di Piemontese e 55 giornate, ne sia parte. Negli anni, sono cresciuto come uomo, come agricoltore e come allevatore. Il futuro è e sarà La Granda. Il suo pensiero, e mi impegnerò perché lo sia, va portato avanti”.

Il nonno di Mauro Olivero nel1965



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