Domenico Gramaglia e il colpo di fulmine per la Razza Piemontese.
La Granda di Sergio Capaldo: la giusta scelta per non essere più vittime del mercato
Coup de foudre. Dal francese, colpo di fulmine. Può essere definito come l’apparizione, all’improvviso, di un sentimento per qualcuno. L’etimologia della parola conduce in un viaggio tra amore e magia, mito e leggenda dove grandi e vigorosi guerrieri si sono rivelati dolci e premurosi amanti.
Un incipit, questo, degno della storia di Domenico Gramaglia. Fu un colpo di fulmine, pronto a concretizzarsi in grande amore, quello che l’allevatore di Saluzzo, destinò alla Razza Piemontese, allevata nella sua purezza e secondo la principale attitudine da carne.
La devozione agricola della famiglia Gramaglia non ha tempo: già il bisnonno all’inizio del secolo scorso fondava l’economia familiare su agricoltura e allevamento. La memoria più vicina nel tempo conduce Domenico nel 1994. Al tempo, in cascina i capi venivano munti ed era privilegiata la pratica dell’incrocio tra razze.
Poi, il colpo di fulmine con la razza Piemontese. “La storia della nostra terra, la vocazione zootecnica del cuneese, la tradizione millenaria di una razza, la soddisfazione lavorativa e l’orgoglio di essere contadino. Per noi, la Piemontese è tutto questo”, spiega Domenico.
Gli anni duemila portano con sé importanti modifiche alla stalla: nel 2009, l’ampliamento all’insegna del benessere animale, la stabulazione libera, l’inserimento di mangiatoie in acciaio ed alcune opere strutturali volte a garantire una maggiore luminosità per gli animali. Contestualmente, sono vendute tutte le quote latte.
Due anni dopo, nel 2011, Domenico Gramaglia condivide il cammino tracciato da Sergio Capaldo. “Fu il mio mangimista di fiducia a presentarmi il progetto del neonato consorzio e la grande caparbietà di Capaldo. Fino a quel tempo, avevo sempre adempito a ciò che il mercato comandava, essendone così vittima. Scegliendo il meglio per i miei animali, non sono stato travolto dalle linee che imponeva La Granda. Nonostante qualche preoccupazione iniziale per l’alimentazione, tutto è stato semplice”, spiega Domenico.
Oggi l’azienda conta 150 capi, di cui 70 fattrici abbinate ad oltre 32 ettari. La storia di Domenico che, a sette anni già sapeva mungere a mano, potrebbe tingersi di rosa. Alle figlie, oggi diversamente appassionate, è lecito augurare un colpo di fulmine per la zootecnia.