Quando la transumanza diventa festa. In alpeggio con Giorgio Arnaudo.
Gli animali lo sanno. La montagna chiama.
La transumanza non è solo il passaggio dalla stalla dove i bovini passano i mesi freddi dell’inverno ai prati delle vette alpine. La transumanza appartiene alla dimensione ancestrale, là, dove il rito si è fuso con la storia.
L’istinto guida gli animali che ricordano e desiderano ritornare sulle montagne.
La pratica prende piede nel cuore della notte, quando gli animali sono da preparare per il grande giorno. La vestizione prevede i campanacci. Questi potrebbero essere additati come gioielli, con un passato ed una storia propria. Innegabile la sinfonia che ne deriva al marciare delle vacche: assordante, confusa, ritmata e irregolare.
Ai blocchi di partenza, gli animali fremono sebbene non ci siano traguardi da strappare. Al via inizia la corsa mantenendo la gerarchia, le prime file non verranno mai superate anzi, sono proprio loro a dare il ritmo. Oltrepassati i primi chilometri l’andatura si stabilizza e si procede fino ai primi pascoli. Qui, finalmente, vacche e vitellini si riuniscono, godendo della coccola del latte materno. Nel corso dell’estate tutta la montagna verrà pascolata, nel mese di agosto si raggiungeranno le vette più alte e, solo con l’arrivo dei primi freddi, e della prima neve, si tornerà a valle.
Ma la transumanza non è solo questo. La transumanza è famiglia, comunità e società.
Insieme al margaro ci sono i più vecchi che si sono fatti divulgatori di un’antica usanza affrontando così lo scontro generazionale sulle nuove procedure; le donne, figlie e mogli, che si occupano delle vivande supportando –e sopportando- gli uomini nella pratica; le braccia nuove disposte ad imparare il mestiere; gli amici più pratici chiamati a dare una mano nella gestione della mandria e tutti i concittadini che, sugli uscii delle case, sorridono alla bianca sfilata.
Giorgio Arnaudo è l’allevatore de La Granda che, dal 2012, coltiva la cultura della transumanza e dell’alpeggio. Da Demonte a Sant’Anna di Vinadio, le sue Piemontesi pascolano i prati polifita della montagna, con un dislivello di oltre 1500 metri di altitudine. Giorgio Arnaudo, insieme alla sua famiglia, insegna, che la transumanza tende la mano all’etologia, all’antropologia, alla sociologia ma non esclude la pratica sportiva! Fatica che è ripagata alla grande tavola conviviale dove, tradizionalmente, il bollito fa da protagonista. Perché, in fondo, la transumanza è festa!