I Solavaggione al fianco di Sergio Capaldo per un prodotto di qualità.
Allevare la Piemontese secondo i Solavaggione: tradizione, passione e dignità grazie a La Granda.
Figli di allevatori e genitori di allevatori. Sono Anna Maria e Giovanni Solavaggione, rispettivamente classe 1937 e 1948. Entrambi cresciuti nella provincia Granda e a stretto contatto con la Razza Piemontese.
“La stalla era mia vita, la mia identità e la mia essenza. Ero piccola, siamo nel 1955, e papà allevava già 35 Piemontesi. Studiavo, giocavo e trascorrevo le mie giornate tra gli animali”, racconta Anna Maria.
Anche per Giovanni un’infanzia e adolescenza nell’azienda agricola di famiglia. “La stalla, a fine anni quaranta, contava quasi 80 bovini ma l’innamoramento fatale della Piemontese nel 1952. Era la prima volta in alpeggio. Partii con i vicini e 150 capi per una traversata di tre giorni, fino a raggiungere Demonte. Così, l’allevamento e la zootecnia, mi hanno fatto perdere la testa. Per sempre”.
E poi il matrimonio tra Anna Maria e Giovanni con un allevamento a Suniglia, a pochi passi da Savigliano, dove si contavano circa ottanta capi di Razza Piemontese.
Colpa di un destino avverso, i Solavaggione sono costretti ad allontanarsi dai propri animali e dalla campagna per trasferirsi a Bra dove Giovanni svolge la professione di macellaio.
Così Anna Maria ricorda quegli anni: ”la città era la mia prigione. Sentivo la mancanza della mia terra, della campagna e dentro di me solo nostalgia”.
A inizio anni ottanta il ritorno a Suniglia e, solo con i primi anni novanta, i Solavaggione tornano a dedicarsi a pieno ritmo all’allevamento e alla zootecnia.
“Non ho mai pensato a un’altra alternativa che potesse essere per sempre se non la cura e la dedizione verso la Piemontese”, commenta Giovanni.
Nel 1990, nell’azienda agricola dei Solavaggione si contavano 20 Piemontesi e, non più di un anno dopo, già 50.
Cresceva, nell’azienda di famiglia, anche Paolo, del 1971, figlio unico dei Solavaggione.
“Studiare non faceva per me. In un primo tempo mi sono allontanato dall’azienda di famiglia per poi riscoprirmi profondamente legato a quello che i miei genitori, e prima i miei nonni, hanno costruito”, racconta Paolo che accoglie il testimone nel 2008.
Nel 2009, Paolo costruisce una stalla nuova in cui vengono rivoluzionate le tradizioni procedure zootecniche. Le Piemontesi passano da stabulazione fissa a stabulazione libera, l’alimentazione non include l’utilizzo di antibiotici né cortisonici e il fieno viene prodotto nei terreni vicino a casa. Resta pratica consolidata quella dell’alpeggio, da metà giugno a inizio settembre, i bovini raggiungono Demonte e la Valle Varaita.
Nel 2011, quando in stalla si contavano meno di 100 capi, Paolo chiede di entrare a far parte de La Granda ma, solo con l’apertura di Eataly Roma nel 2012, la richiesta viene accolta.
“Il tema del benessere animale, da sempre, mi ha interessato così come l’idea di dare vita ad un prodotto di qualità. Capaldo ha saputo darmi le risposte giuste a entrambi i temi. Oltre a questo, ha dato dignità alla figura dell’allevatore liberandolo così dalle ingiuste logiche del mercato che uccide questa professione”, prosegue Paolo.
Il futuro? “Al fianco di Sergio Capaldo e de La Granda. In stalla cresce anche Matteo, mio figlio di 17 anni”, conclude Paolo.
Non c’è quindi da escludere che una quarta generazione di Solavaggione prosegua la storia dell’allevamento di Piemontese in quel di Suniglia.